domenica 23 ottobre 2016

220. Everest


Il monte Everest è la vetta più alta della Terra (8.848 m). Il nome fu introdotto nel 1865 dall'inglese Andrew Waugh (1810 – 1878), governatore generale dell'India, in onore di Sir George Everest (1790 – 1866), suo predecessore nel posto di ispettore generale dell'India, che lavorò per molti anni come responsabile di geografi e cartografi britannici in India. George aveva molti fratelli e nipoti. Una di queste nipoti era Mary Everest (1832 – 1916) figlia dell’eccentrico reverendo Thomas Roupell Everest. Da bambina Mary aveva mostrato una certa attitudine per la matematica ed i suoi genitori decisero di farla seguire da un tutor di 17 anni più anziano, al quale era legata da profonda amicizia. All’età di 23 anni, dopo la morte del padre, era caduta in miseria e alla proposta di matrimonio del tutor accettò di sposarsi. Ebbero 5 figlie, ma il matrimonio durò appena 9 anni. Nell’autunno del 1864, il marito aveva percorso 5 chilometri a piedi sotto la pioggia, mentre si recava ad insegnare all’University College Cork (UCC) in Irlanda. La cosa tragica è che probabilmente la sua morte fu affrettata dalle pericolose teorie della moglie, che a quanto pare lo “curava per similia” facendolo coricare tra lenzuola inzuppate nell’acqua fredda. Se ne andava così per una polmonite, all’età di 49 anni, George Boole (1815 – 1864) considerato il fondatore della logica matematica.


La vita di George Boole

Nasce a Lincoln, in Inghilterra, il 2 novembre 1815 e cresce in povertà, studiando da autodidatta greco, latino, francese, tedesco e italiano. Studia anche matematica sui testi di Giuseppe Luigi Lagrange e Pierre-Simon de Laplace. In seguito si dedica allo studio di metodi algebrici per la risoluzione di equazioni differenziali e la pubblicazione dei suoi risultati gli fa ottenere la medaglia della Royal Society.

Nel 1849 riceve la nomina alla cattedra di matematica al Queen's College di Cork, in Irlanda, dove insegnerà per tutto il resto della vita. Ed è proprio a Cork che George Boole si spegne l'8 dicembre 1864.

I più grandi meriti che vengono attribuiti a George Boole sono l'applicazione del calcolo simbolico alla logica. Con il suo "The Mathematical Analysis of Logic" (1847), Boole propone l'associazione tra logica e matematica al posto di quella fra logica e metafisica; in sostanza pone la logica sullo stesso piano della scienza, delle leggi dei simboli, attraverso i quali si esprimono i pensieri. La sua opera più importante è "An Investigation of the Laws of Thought" (1854), indirizzata alle leggi del pensiero, con la quale viene proposta una nuova impostazione della logica, riconducendo le composizioni degli enunciati a semplici operazioni algebriche, dopo aver rilevato le analogie fra oggetti dell'algebra e oggetti della logica (algebra booleana).

La sua terza figlia, Alicia Boole, fu anch'essa un'importante matematica: a lei si deve il termine "politopo", per riferirsi ad un solido convesso a 3 o più dimensioni come equivalente dei poligoni; i poligoni si possono quindi anche chiamare 2-politopi e i poliedri 3-politopi  (vedi 218. 1, 2, 3,tanti).






In piedi le 5 figlie: Margaret (1858-1935), Ethel Lilian (1864-1960), Alice (1860-1940), Lucy (1862-1905) e Mary Ellen (1856-1908).  Davanti: Julian & Geoffry I. Taylor, Mary Everest Boole, Leonard Stott, George Hinton e Mary Stott (seduta in braccio a Mary Everest Boole). Foto: Whitely of London, copyright UCC.






Gli operatori dell'algebra booleana possono essere rappresentati in vari modi, ma spesso sono scritti semplicemente come AND, OR e NOT che è la scrittura che viene utilizzata per parlare degli operatori booleani.
Le diverse simbologie per rappresentare gli operatori sono scelte in base al campo in cui si lavora: i matematici usano spesso il simbolo + per l'OR, e X o * per l'AND, in quanto per alcuni versi questi operatori lavorano in modo analogo alla somma e alla moltiplicazione. La negazione NOT viene rappresentata spesso da una linea disegnata sopra l'argomento della negazione, cioè dell'espressione che deve essere negata.

Boole individuò un sistema per formulare questo tipo di ragionamenti per mezzo di un’algebra delle classi: le classi venivano indicate come lettere (ad esempio, x) così come già venivano utilizzate per rappresentare numeri nell’algebra ordinaria. Se x ed y rappresentavano due classi, Boole indicava con xy la classe degli oggetti che stavano sia in x che in y: in qualche modo, stava assimilando questa nuova operazione fra classi alla moltiplicazione numerica. Sussisteva, però, una differenza sostanziale: se x è la classe dei gatti rossi, allora xx è ancora la classe dei gatti rossi. Ossia, nella nuova algebra che stava nascendo era sempre valida l’equazione  xx = x; questo assioma segna un distacco dall’algebra ordinaria.

Il passo successivo fu trovare un’analogia con le equazioni dell’algebra, dove xx = x è vera se e soltanto se x = 0 oppure x = 1. Dunque, l’algebra della logica coincide con l’algebra ordinaria limitata ai due soli valori 0 e 1. I due valori 0 e 1 andavano, quindi, interpretati come classi. Per capire, però, in che modo consideriamo le moltiplicazioni per 0 e per 1 nell’algebra ordinaria: qualunque sia il valore di x,

0 . x = 0        1 . x = x

Se interpretiamo le due identità sopra nel linguaggio delle classi, esse sono vere quando indichiamo con:

  • 0 la classe che non contiene alcunché, che oggi chiamiamo insieme vuoto,
  • 1 la classe che contiene qualunque entità cui possiamo pensare, che potremmo chiamare universe.
Rimaneva ancora da interpretare, nella nuova algebra, l’altra operazione definita nell’algebra ordinaria: l’addizione. Boole stabilì che x+y rappresentava la classe contenente tutto ciò che è contenuto in x o in y.

Boole individuò nella sua algebra anche l’operazione inversa dell’addizione: x - y denota la classe contenente tutto ciò che è contenuto in x ma non è contenuto in y.
In particolare, 1 - x, la classe complemento di x, rappresenta tutto ciò che non è contenuto in x. Allora, x + (1 - x) = 1; ossia, qualunque oggetto deve essere in una classe o nel suo complemento: una rilettura del principio del terzo escluso di Aristotele.

Utilizziamo, ora, la notazione x2 per indicare xx e vediamo come possiamo interpretare la regola fondamentale di Boole xx = x : tale regola può venire scritta come x2 = x da cui, applicando il primo principio di equivalenza delle equazioni dell’algebra ordinaria, otteniamo x2 - x = 0. Possiamo quindi raccogliere a fattor comune e ottenere x (1 - x) = 0; ossia, niente può sia appartenere che non appartenere a una classe. Per Boole questo fu un risultato entusiasmante, che rafforzò la sua convinzione di essere sulla strada giusta: infatti, questa equazione esprimeva proprio quel principio di non contraddizione che Aristotele ha descritto come l’assioma fondamentale di tutta la filosofia.





http://www.treccani.it/enciclopedia/terzo-escluso-principio-del_(Dizionario-di-filosofia)/


 

 
La logica da Aristotele a Godel
 
Con la fisica moderna (la meccanica quantistica) si è però passati da una logica aristotelica o del terzo escluso, ad una eraclitea (antidialettica) che invece lo include sostituendo il principio di non contraddizione con quello di complementare contraddittorietà; potendo un quanto essere e non essere contemporaneamente due rappresentazioni opposte di una stessa realtà: particella ed onda. Cosa che poi rappresenta il vero paradosso del divenire della realtà in generale quando "nello stesso fiume scendiamo e non scendiamo; siamo e non siamo" (Eraclito).
 
 

 



 










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