mercoledì 14 settembre 2016

217. Lo pneumatico


Tutto cominciò con un triciclo. Lo scozzese John Boyd Dunlop (1840 – 1921) dopo essersi laureato in veterinaria, tra le altre cose, fu anche inventore e chirurgo. Nel 1867 si trasferì in Irlanda, dove, vent’anni dopo, guardando pedalare il proprio figlio su una strada sassosa, ebbe l’idea di inventare lo pneumatico. 

 



L’anno successivo depositò il brevetto e nel 1889 fondò la società produttrice degli pneumatici Dunlop: Pneumatic Tyre and Booths Cycle Agency. Una squadra di ciclisti inglesi che montava gomme Dunlop, contribuì a rendere l’invenzione famosa nel mondo e le gomme piene furono sostituite nelle biciclette e nelle automobili.




Due anni dopo la concessione, Dunlop fu informato ufficialmente che gli era stato revocato il brevetto in seguito a verifiche più approfondite. Era infatti emerso che già quarant'anni prima l'inventore Robert William Thomson (1822 – 1873) di Stonehaven (anche lui scozzese), aveva già brevettato un'idea analoga in Francia nel 1846 e negli Stati Uniti nel 1847. Forse Thomson era troppo in anticipo e morì a 51 anni senza riuscire a vedere i futuri sviluppi che avrebbe avuto la sua invenzione. O forse perché non era ancora stata inventata la vulcanizzazione, che serve a dare elasticità e durezza a caucciù e gomme sintetiche, rendendole insensibili alle variazioni di temperatura. Questo processo consiste sostanzialmente nel far reagire a caldo gomma e zolfo con altri catalizzatori, e fu scoperta nel 1855 dall’americano Charles Goodyear (anche lui rimasto famoso nel settore, l'azienda Goodyear Tire and Rubber Company è stata chiamata così in suo omaggio). I legami chimici tra le catene di molecole “a ponte di zolfo”, creano un reticolo stabile, che impedisce alla gomma di rammollire e di deformarsi se la temperatura sale. A seconda della quantità di zolfo impiegato, si ottengono gomme più o meno dure.

Ma come funziona lo pneumatico e come riesce a rimanere gonfio sotto il peso di un ciclista o quello di un automobile?

La prima risposta è semplice: è pieno di aria compressa (o altro gas).

Quello che è meno immediato è che atomi e molecole urtando tra loro e contro le pareti ad alta velocità riescono a “reggere” il peso di ciò che portano in giro. Questi proiettili sono molto piccoli, ma sono veramente tanti, ma tanti tanti. Non è semplice immaginare numeri simili e non approfondirò oltre l’argomento; riporto solo l’inizio del capitolo 39 “The Kinetic Theory of Gases” delle famose lezioni “The Feynman Lectures on Physics, Volume I”:






“Innanzitutto, sappiamo che un gas esercita una pressione. Se le nostre orecchie fossero più sensibili, sentiremmo un rumore continuo. Per fortuna l'evoluzione dell'orecchio non si è sviluppata a quel punto. La ragione è che il timpano è a contatto con l'aria, e l'aria è costituita da un sacco di molecole in movimento continuo e queste sbattono contro i timpani, causando un irregolare boom, boom, boom, che non si sente solo perché gli atomi sono così piccoli, e la sensibilità dell'orecchio insufficiente per accorgersene. Il risultato di questo bombardamento perpetuo è di spingere il tamburo lontano, ma naturalmente c'è un bombardamento perpetuo uguale di atomi sull'altro lato del timpano, in modo tale che la forza netta risultante sia zero. Se dovessimo rimuovere l'aria da uno dei due lati, o modificare le quantità relative di aria, il timpano sarebbe poi spinto da una parte o dall'altra, perché la quantità di bombardamenti su un lato sarebbe superiore a quella sull’altro. A volte si prova questo effetto di disagio quando si va troppo in fretta in un ascensore o durante la fase di atterraggio di un aereo, soprattutto se abbiamo anche un brutto raffreddore (quando abbiamo un raffreddore, l’infiammazione chiude il canale che collega l'aria all'interno del timpano con l’aria esterna che attraversa la gola, in modo che le due pressioni non possono facilmente bilanciarsi)”. 


 

Le molecole che compongono l’aria che respiriamo hanno una velocità media dell’ordine di 2000 km all’ora, anche se non riusciamo a percepirlo.

Tornando al nostro pneumatico, se la ruota non è montata, senza schiacciarla non riusciamo a capire se è gonfia o no. Se però vogliamo utilizzarla dobbiamo gonfiarla, cioè dobbiamo aumentare la pressione al suo interno.

L’unica formula che voglio mostrare è l’equazione di stato dei gas perfetti:

pV = nRT


dove le variabili sono nell’ordine: pressione, volume, quantità di sostanza, costante dei gas e temperatura assoluta.

Nel caso dello pneumatico V,R e T di norma non cambiano, mentre p aumenta in funzione di n, cioè se si aumenta la quantità di gas, aumenta in proporzione la pressione. Facciamo qualche esempio. Per le gomme di una bicicletta una buona regola generale è gonfiare di 1 atmosfera per ogni 10 kg di peso (es: se pesi 70 kg le gonfi a 7 atm); che non è poco, se si pensa che la pressione delle ruote delle auto è compresa tra 2 e 2,5 atmosfere. Vediamo perché e poniamoci prima un paio di domande: che pressione esercita un copertone sull’asfalto e qual è l’area della sua impronta? Le risposte non sono poi così difficili.

Primo, per essere in equilibrio, la pressione esercitata dall’asfalto sullo pneumatico deve equilibrare la pressione interna, per cui 7 atm per la bici e 2,2 per l’auto.

Secondo, la pressione si ottiene come forza per unità di superficie, p = F/S, e ipotizzando una massa di 70 kg (bici + uomo) e 1400 kg (auto + uomo), si ottiene che con le pressioni scritte sopra le relative superfici sono:

 



In questo sito potete trovare come varia l’impronta dello pneumatico in relazione alla pressione.



      

In fisica psi è l'acronimo di pound per square inch, che significa libbre per pollice quadrato, ed è l'unità di misura della pressione nel sistema anglosassone.

1 atm  = 14,69 psi  = 760 torr  = 760 mmHg   = 10,33 mH2O  = 101325 Pa  = 1,013 bar   = 103,32 kgf/m²    = 1,0332 kgf/cm²   = 0,101325 N/mm²


Essendo inversamente proporzionali, aumentando la pressione si diminuisce l’area dell’impronta lasciata sull’asfalto e viceversa. Per questo motivo si sgonfiano leggermente le gomme per aumentarne l’aderenza in caso di nevicate e si dovrebbe  aumentare la pressione d'estate di 0,2 - 0,3 bar quando si è a pieno carico.



Esistono semplici esempi di pressioni molto elevate, come un chiodo sull’asfalto che fora un copertone o la pressione esercitata dal tacco a spillo di una scarpa (di una donna di 50 kg), che arriva a superare le 100 atmosfere.

 










 

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